Il Diritto di sentirsi al Sicuro nell’istruzione: un rapporto ONU che tutti i genitori dovrebbero conoscere.

Nel maggio 2025, il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha pubblicato un documento fondamentale che potrebbe (e dovrebbe) cambiare il modo in cui pensiamo all’istruzione: si tratta del rapporto A/HRC/59/41, redatto dalla Relatrice Speciale sul diritto all’istruzione, Farida Shaheed, intitolato "The Right to be Safe in Education" – Il diritto di essere al sicuro nell’istruzione.


Questo rapporto non parla solo di scuole, ma di tutti i contesti educativi, inclusi quelli digitali, extrascolastici, informali e anche familiari. È un documento che, pur provenendo dall’ambito istituzionale dell’ONU, parla direttamente alle famiglie. Soprattutto, parla a quelle famiglie che hanno scelto o stanno considerando l’educazione parentale (homeschooling).


Perché questo documento è cruciale

Molti genitori italiani non seguono regolarmente le pubblicazioni delle Nazioni Unite. Tuttavia, queste dichiarazioni hanno un peso simbolico e politico enorme: influenzano il modo in cui gli Stati definiscono leggi e politiche educative. Comprendere il contenuto di questo rapporto significa conoscere i propri diritti e rafforzare la legittimità di chi sceglie un percorso educativo alternativo.

Questo documento cambia il paradigma: non basta più garantire l'accesso all'istruzione; bisogna garantire la sicurezza integrale dell'esperienza educativa. E ciò implica un impegno concreto, sistemico e quotidiano da parte delle istituzioni.



Il significato del "diritto alla sicurezza nell'istruzione"

La Relatrice Speciale propone questa definizione:


"The right to be safe in education is the right of learners, educators and non-teaching staff to be protected from any violation of their physical, sexual or psycho-emotional integrity, as well as from practices harming or endangering healthy relationships within and outside the educational environment and the free expression of identities."
"Il diritto di essere al sicuro nell’istruzione è il diritto degli studenti, degli insegnanti e del personale non docente a essere protetti da qualsiasi violazione della loro integrità fisica, sessuale o psico-emotiva, così come da pratiche che danneggiano o mettono in pericolo relazioni sane dentro e fuori dall’ambiente educativo e l’espressione libera della propria identità."

Il messaggio è chiaro: non esiste diritto all’istruzione senza diritto alla sicurezza.

Questo porta con sé una trasformazione importante: si passa da un'idea di scuola come luogo neutro o automaticamente valido a una concezione molto più esigente e umana. Il sistema educativo deve garantire non solo conoscenza, ma anche benessere e rispetto.


Scuola, ma non solo

Sebbene il rapporto sia spesso interpretato in chiave scolastica, è importante sottolineare che non si riferisce solo alla scuola tradizionale. Anzi, include esplicitamente ogni tipo di ambiente educativo, anche quello familiare:


"This includes all educational spaces and processes, including digital ones."
"Ciò include tutti gli spazi e i processi educativi, inclusi quelli digitali."

Questo significa che anche l’educazione parentale (homeschooling) rientra pienamente nella riflessione sul diritto alla sicurezza. Ed è qui che il documento apre una breccia storica nella difesa del diritto all'educazione in forma non convenzionale.


Un'accusa implicita ai sistemi scolastici?

Il rapporto non accusa esplicitamente la scuola pubblica, ma evidenzia numerosi rischi associati ai contesti educativi tradizionali: violenze, abusi, bullismo, discriminazioni, violazioni dell'identità personale. In molte scuole italiane, gli studenti LGBTQ+, neurodivergenti, con background migratorio o semplicemente "diversi" sperimentano quotidianamente situazioni di disagio e insicurezza.

Nel contesto italiano, questa è una verità spesso taciuta. Eppure, chi lavora nel mondo educativo lo sa: non tutti gli ambienti scolastici sono sicuri. Molti non lo sono mai stati. Alcuni bambini e ragazzi escono da scuola più feriti che formati.


Dalla parte delle famiglie homeschooler

Per molte famiglie che hanno scelto l’istruzione parentale, questo documento rappresenta un balsamo e una legittimazione. Dopo anni in cui si è dovuto giustificare una scelta spesso vista con sospetto, oggi una voce autorevole delle Nazioni Unite afferma che il diritto all'educazione si realizza solo dove vi è sicurezza. E se questa sicurezza non viene garantita nella scuola, è giusto e legittimo cercarla altrove.


"Safety entails the ability of all persons to enjoy and exercise their human rights in all aspects of education, without discrimination, fear or reprisal."
"La sicurezza implica la possibilità per ogni persona di godere ed esercitare i propri diritti umani in tutti gli aspetti dell'istruzione, senza discriminazione, paura o ritorsioni."

Questo significa che anche l’homeschooling, se vissuto in un ambiente sereno, amorevole e stimolante, può garantire più sicurezza e dunque più diritto all’istruzione rispetto a certi ambienti scolastici istituzionali.


La pluralità educativa come chiave della sicurezza

Il rapporto insiste su un principio fondamentale: le politiche educative devono adottare un approccio onnicomprensivo, che includa le realtà diverse degli studenti.


"An all-encompassing approach to safety in education must take into account the diverse realities of learners, including those learning in informal, non-formal and home-based settings."
"Un approccio onnicomprensivo alla sicurezza nell'istruzione deve tener conto delle realtà diverse degli studenti, inclusi quelli che apprendono in contesti informali, non formali e domestici."

In Italia, ciò implica anche un cambio di paradigma nelle istituzioni scolastiche, nei dirigenti, negli uffici scolastici regionali. Non è più possibile trattare le famiglie homeschooler come soggetti da controllare o sorvegliare: sono portatrici di un diritto riconosciuto a livello internazionale.


Una sicurezza che è anche libertà

Molti genitori homeschooler raccontano di bambini che, dopo essere stati ritirati da scuola, hanno ricominciato a dormire bene, a sorridere, a studiare con piacere. La sicurezza psicologica non è solo assenza di violenza: è possibilità di essere se stessi, di apprendere senza paura, di essere ascoltati e rispettati.

Questo documento ONU rafforza l’idea che la vera sicurezza nasce dalla fiducia, dalla relazione educativa autentica, dall’autonomia e dalla personalizzazione dell’apprendimento.


Un invito a informarsi e agire

Questo non è un documento tecnico per addetti ai lavori. È una dichiarazione politica, culturale e civile. Le famiglie italiane hanno oggi uno strumento in più per difendere le proprie scelte educative e per chiedere che lo Stato non ostacoli, ma sostenga chi garantisce un ambiente sicuro ai propri figli.

Se davvero vogliamo costruire un sistema educativo giusto, dobbiamo partire da qui: dal riconoscere che ogni bambino ha il diritto di sentirsi protetto, rispettato e ascoltato. E se questo accade a casa, con i genitori, in un contesto sereno e stimolante, allora è quello il luogo giusto per crescere.

Vuoi leggere il rapporto originale? Puoi trovarlo (in inglese) sul sito dell’OHCHR: https://www.ohchr.org/en . L’educazione è un diritto. Ma la sicurezza è ciò che lo rende possibile.


Libera Schola: al fianco delle famiglie per conoscere e difendere i propri diritti

In un panorama educativo in continua trasformazione, EDUpar si impegna ogni giorno per informare, sostenere e dare voce alle famiglie italiane che scelgono percorsi educativi alternativi, come l’homeschooling. Siamo convinti che conoscere i propri diritti sia il primo passo per difenderli, soprattutto quando si tratta del benessere e della sicurezza dei propri figli.

Per questo vi raccontiamo e traduciamo documenti fondamentali come questo rapporto delle Nazioni Unite, che spesso passano inosservati ma che possono cambiare radicalmente il modo in cui le famiglie vengono trattate dalle istituzioni.

Attraverso articoli, incontri informativi, consulenze e una rete di supporto attiva in tutta Italia, EDUpar è con voi per ricordarvi che educare in libertà è un diritto riconosciuto, e che ogni famiglia ha il potere — e il dovere — di scegliere ciò che è meglio per i propri figli, anche controcorrente.


Continuiamo insieme a costruire un futuro educativo più umano, più sicuro, più consapevole.

Autore: Erika Di Martino 10 dicembre 2025
Siamo tornati da poco da tre giornate che rimarranno nel cuore di tutti: un piccolo viaggio educativo vissuto nella cornice naturale di Nepi, un luogo immerso nel verde della provincia di Viterbo che, ogni volta, ci accoglie con un silenzio pieno e vibrante. Qui, dove lo sguardo può correre lontano e il ritmo del respiro si distende, bambini e ragazzi ritrovano uno spazio in cui possono finalmente sentirsi leggeri, curiosi, presenti. In questo ambiente così autentico — con partecipanti dai sette ai diciassette anni — si è creata un’atmosfera speciale, resa possibile dall’accoglienza del luogo e dalla presenza del team EDUpar e della Fondazione Libera Schola. Non si è trattato semplicemente di una gita, ma di un percorso educativo che ha toccato mente, emozioni, corpo e relazioni. La natura come educatrice invisibile Uno degli elementi più potenti di queste giornate è stata la natura stessa. Senza bisogno di parole o spiegazioni, ha raggiunto i ragazzi in modo diretto e genuino. Gli animali — i pony tranquilli, gli alpaca curiosi, gli asini pacati, l’imponente struzzo — sono stati compagni silenziosi di apprendimento. Ogni incontro ha suscitato stupore, rispetto, tenerezza, voglia di capire. La natura non giudica: accoglie. Invita ad avvicinarsi con lentezza, ad ascoltare, a osservare davvero. Molti partecipanti hanno raccontato di essersi sentiti più presenti, più sereni. In un mondo sovraccaricato di stimoli digitali, il contesto di Nepi ha restituito loro uno spazio interiore raro e prezioso. Un percorso costruito intorno alla persona L’esperienza proposta non è stata una semplice sequenza di attività, ma un cammino integrato pensato per il benessere globale dei partecipanti. La pedagogia EDUpar e della Fondazione Libera Schola mette al centro il rispetto dei tempi individuali, l’osservazione attenta e la valorizzazione della persona nella sua unicità. A Nepi, questo approccio ha permesso ad ogni ragazzo di entrare nell’esperienza con il proprio passo: nessuna pressione, nessuna performance richiesta. Solo autenticità e presenza. Comunicare con tutto il corpo: public speaking e consapevolezza Una parte fondamentale del programma è stata dedicata alla comunicazione, non solo come uso della voce, ma come modo di stare nel mondo. Attraverso laboratori di public speaking, i ragazzi hanno esplorato postura, contatto visivo, ritmo del discorso, uso dello spazio. È stato sorprendente vedere quanto velocemente molti di loro abbiano trovato sicurezza: chi era timido ha iniziato a emergere, chi parlava troppo rapidamente ha scoperto la potenza delle pause, chi temeva il giudizio ha compreso il valore del gruppo come luogo sicuro. Il corpo è diventato strumento espressivo, un alleato capace di sostenere e rivelare. Guardarsi dentro: valori, emozioni, forze interiori Accanto al lavoro fisico ed espressivo, i partecipanti hanno affrontato momenti di riflessione dedicati alla scoperta di sé. Attraverso attività mirate, hanno esplorato valori personali, punti di forza, paure, desideri e sfide quotidiane. Le conversazioni nate in questi spazi sono state profonde: i più piccoli, con la loro spontaneità, hanno sorpreso per lucidità, gli adolescenti hanno portato complessità e sincerità. Conoscersi è un viaggio impegnativo, ma fondamentale: questi tre giorni hanno offerto un primo passo in quella direzione.
21 novembre 2025
Tre bambini sono stati allontanati dalla loro famiglia e inseriti in una struttura protetta. Palmoli, Abruzzo. Novembre 2025. A motivare la decisione del Tribunale dei Minori dell’Aquila: la scelta di una vita nel bosco, senza servizi a norma, e l’adozione dell’homeschooling in forma dichiarata ma non convenzionale. Una vicenda che ci tocca profondamente come Fondazione Libera Schola, perché solleva interrogativi cruciali sulla libertà educativa, sulla funzione della scuola nella società contemporanea e sul ruolo dello Stato quando le famiglie scelgono percorsi alternativi. Non si tratta di una situazione di abuso, né di incuria nel senso abituale del termine. Si tratta, piuttosto, di una scelta esistenziale e pedagogica alternativa, che ha disturbato il senso comune istituzionalizzato e ha incontrato la reazione più dura possibile: la separazione forzata dei bambini dai genitori. Non è una questione tecnica. È una questione culturale. Questa non è la storia di una famiglia “inadempiente”. È la storia di una famiglia che ha scelto uno stile di vita essenziale, orientato all’autosufficienza, e una forma di educazione parentale basata su ritmi naturali, apprendimento esperienziale e relazioni significative. La scelta dell’unschooling, sebbene non ancora normata nel dettaglio dal nostro ordinamento, non è illegale. È semplicemente fuori dagli schemi. Il Tribunale ha parlato di “pericolo oggettivo” per l’integrità psicofisica dei minori, con particolare riferimento alla vita di relazione e all’assenza di trattamenti sanitari obbligatori. Tuttavia, la vicenda nasce da un episodio accaduto più di un anno fa: un’intossicazione da funghi, risolta in ospedale. Nessun segnale di maltrattamenti, nessuna denuncia per abuso, nessuna situazione di emergenza evidente. Eppure, a distanza di mesi, arriva una decisione che cambia per sempre la vita di questi bambini. Se davvero ci fosse stato un rischio così grave, perché la giustizia ha atteso oltre dodici mesi? Se c’era un pericolo reale, l’intervento sarebbe dovuto essere immediato. Invece, è arrivato sotto la pioggia di novembre con cinque pattuglie dei carabinieri e l’esecuzione di un decreto che pare più una punizione ideologica che una misura di tutela. Socializzazione: davvero serve la scuola per imparare a stare con gli altri? Nel decreto si legge che “la deprivazione del confronto tra pari” potrebbe avere effetti negativi sullo sviluppo. È un argomento che da anni viene utilizzato per screditare l’educazione parentale, senza però tenere conto della complessità del concetto di socializzazione. Perché mai si dovrebbe presupporre che la relazione umana autentica avvenga solo dentro le mura scolastiche? La socializzazione non nasce tra file di banchi, ma nella libertà di esplorare, nella possibilità di scegliere le proprie relazioni, nei legami significativi e intergenerazionali che molti bambini oggi non vivono più nemmeno tra i banchi. La socializzazione scolastica imposta, spesso sterile e carica di dinamiche di controllo e competizione, non è sinonimo di crescita relazionale sana. Migliaia di studenti italiani vivono ogni giorno in contesti scolastici poveri di ascolto, presenza e autenticità. Non si parla mai di questo quando si invoca la “vita di relazione”. La relazione non si impone. Si costruisce. E l’isolamento può avvenire anche in classe, quando le emozioni vengono negate, quando l’adulto di riferimento è distante, quando la pressione performativa sostituisce la cura. I numeri che il sistema dimentica È necessario ricordare alcuni dati fondamentali, troppo spesso ignorati nel dibattito pubblico. In Italia, un minore su quattro sotto i 16 anni vive in condizioni di povertà o esclusione sociale. Il tasso di abbandono scolastico precoce si attesta al 10,5%, con punte che superano il 30% tra i minori rom e stranieri. Nei contesti più fragili, i bambini non vanno a scuola, non ricevono supporto educativo né sanitario, vivono spesso in ambienti degradati, ma lo Stato interviene solo a tratti, in modo discontinuo e poco risolutivo. Inoltre, i disturbi psicologici tra i minori scolarizzati sono in forte aumento: ansia, depressione, autolesionismo, disturbi alimentari sono ormai fenomeni diffusi anche nella fascia tra i 10 e i 14 anni. Eppure, il sistema scolastico non viene messo in discussione. Nessuno ordina allontanamenti forzati in massa dalle scuole. Nessuno parla di “vita di relazione compromessa” per i bambini che trascorrono le giornate isolati dietro uno schermo o in aule affollate senza ascolto né cura. Un precedente pericoloso Il caso Palmoli non è isolato. Solo pochi mesi fa, a Roma, un’intera comunità condominiale si è mobilitata per evitare la sottrazione coatta di una bambina. In altre situazioni, invece, la giustizia non ha saputo intervenire per tempo, lasciando bambini in ambienti gravemente pericolosi. Questo ci dice che non esiste una reale coerenza nell’intervento dello Stato. Esiste, piuttosto, una crescente insofferenza verso chi esce dai binari prestabiliti. Il punto non è essere d’accordo con tutto ciò che fanno queste famiglie. Il punto è che il dissenso educativo non può e non deve essere criminalizzato. Chi sceglie di vivere in modo sobrio, di educare fuori dalla scuola, di usare l’acqua del pozzo e di riscaldare con la legna, non è automaticamente un genitore pericoloso. Cosa possiamo fare Come Fondazione Libera Schola: •⁠ ⁠Monitoriamo il caso di Palmoli con attenzione, insieme a realtà amiche e legali esperti. •⁠ ⁠Difendiamo il diritto alla scelta educativa responsabile e consapevole. •⁠ ⁠Sosteniamo famiglie che educano fuori dalla scuola con serietà e coerenza. •⁠ ⁠Promuoviamo una cultura del rispetto verso la diversità pedagogica. •⁠ ⁠Invitiamo tutti a firmare la petizione in difesa della famiglia ( link ) e a condividere questa storia. La libertà educativa non è un privilegio. È un diritto umano fondamentale. Se oggi si può togliere un figlio a una famiglia solo perché vive nel bosco e non ha l’acqua corrente, domani si potrà fare lo stesso con chi vive in una comune, in un camper, in una yurta, in cohousing rurale o semplicemente... ha scelto di non mandare il proprio figlio a scuola. Tutelare i bambini significa anche tutelare il diritto dei genitori a educarli in modo diverso, quando questo avviene con amore, presenza e responsabilità. Perché non esiste educazione senza libertà. E non esiste libertà senza il coraggio di difenderla.