L’ONU riafferma il diritto dei genitori a dirigere l’educazione dei figli: una conferma internazionale per la libertà educativa

Il recente rapporto delle Nazioni Unite, redatto dalla Relatrice Speciale sul diritto all’istruzione Farida Shaheed, rappresenta un documento fondamentale per chi si occupa di educazione nel XXI secolo. Pubblicato nel contesto della 59ª Sessione del Consiglio dei Diritti Umani (giugno–luglio 2025), questo testo è frutto di una visita sul campo negli Stati Uniti, ma le sue osservazioni risuonano ben oltre i confini americani.


Il documento va letto con attenzione da chi, come noi, lavora ogni giorno per costruire una cultura dell’apprendimento centrata sulla persona, sulla relazione e sull’autonomia. Le analisi contenute nel rapporto non solo mettono in luce le fragilità dei sistemi educativi centralizzati, ma riaffermano un principio essenziale: l’educazione appartiene alla comunità, e in primo luogo alla famiglia.


Il sistema scolastico statunitense: disuguaglianze strutturali e compressione dell’esperienza educativa


La fotografia scattata dal rapporto è nitida e impietosa. Pur riconoscendo la diversità e flessibilità dell’offerta educativa americana, la Relatrice Speciale evidenzia che il sistema riflette profonde disuguaglianze. Non si tratta solo di differenze tra scuole ricche e scuole povere: il problema è sistemico.

“L’istruzione negli Stati Uniti è caratterizzata da disuguaglianze radicate, in particolare per le comunità a basso reddito e marginalizzate.” (par. 7)

Il finanziamento basato sulla tassazione immobiliare locale alimenta un divario crescente tra le scuole: dove le famiglie hanno più mezzi, la scuola è meglio finanziata, attrezzata, supportata; dove i redditi sono più bassi, la scuola diventa spesso uno spazio di contenimento più che di crescita.


A ciò si aggiungono criticità gravi:

  • standardizzazione soffocante dei percorsi,
  • uso punitivo della disciplina che colpisce in modo sproporzionato le minoranze etniche,
  • privatizzazione crescente che rischia di svuotare la funzione sociale dell’istruzione pubblica,
  • assenza di una cultura della cura per il benessere psico-emotivo di studenti e insegnanti.

Il risultato è un sistema che, più che “educare”, tende a classificare, isolare, addestrare. Una scuola che spesso perde la sua anima, ridotta a gestione di dati e contenimento comportamentale.


Il ruolo dei genitori: non solo supporto, ma diritto originario


Uno dei passaggi più rilevanti del documento si trova al paragrafo 74, dove viene ribadito che:


“La Costituzione protegge il diritto fondamentale dei genitori di dirigere la cura, la crescita e l’educazione dei propri figli.”

Non è un dettaglio. È un’affermazione giuridica e culturale di enorme portata. Fa eco alla celebre sentenza Pierce v. Society of Sisters del 1925, emblema della visione secondo cui il bambino non appartiene allo Stato, ma alla sua famiglia, alla sua comunità affettiva ed educativa.


Questa posizione assume un significato ancora più forte nel contesto contemporaneo, segnato da:

  • tentativi di centralizzare e uniformare i percorsi formativi,
  • pressioni normative che scoraggiano ogni deviazione dagli standard imposti,
  • narrazioni mediatiche che marginalizzano o ridicolizzano chi sceglie strade educative alternative.

L’affermazione dell’ONU, invece, sancisce con chiarezza che il primato educativo appartiene ai genitori, e che questo diritto è parte integrante del diritto umano all’istruzione


Homeschooling come possibilità riconosciuta e concreta

In questo quadro, non stupisce trovare nel rapporto un chiaro riconoscimento dell’istruzione parentale:


“In tutti i 50 Stati, i genitori possono legalmente istruire i propri figli a casa.” (par. 27)

Non è un passaggio secondario. L’homeschooling, da tempo in crescita anche in Europa, viene qui legittimato all’interno di un documento internazionale sui diritti umani.


Questo significa che 
l’educazione parentale non è una soluzione estrema, né un privilegio individuale, ma una delle tante modalità possibili per garantire l’adempimento del diritto all’istruzione in forme pluralistiche.

Per Fondazione Libera Schola, questa visione è coerente con la nostra esperienza concreta: progetti come Libere Ludere, i Learning Pods, i percorsi di apprendimento familiare o i viaggi educativi internazionali, nascono proprio da questa comprensione dell’educazione come fenomeno diffuso, incarnato e plurale.


Sicurezza scolastica: un’emergenza educativa e relazionale


Un altro tema centrale emerso dal rapporto riguarda la sicurezza nelle scuole. Non si tratta solo di sicurezza fisica — sebbene negli Stati Uniti siano documentati episodi gravi legati alla violenza armata — ma anche di sicurezza emotiva, psicologica, sociale.


“Molti studenti si sono detti insicuri, discriminati, non supportati nel loro ambiente scolastico.” (par. 61)
“I timori principali riguardano sparatorie, bullismo, isolamento, mancanza di supporto alla salute mentale.” (par. 62–65)

Questo solleva una questione cruciale: la scuola può davvero definirsi inclusiva, se non garantisce benessere relazionale?
Il diritto all’istruzione non è il diritto a stare in aula, ma a 
stare bene mentre si cresce, si apprende, si costruisce il proprio futuro.

In Italia, le condizioni sono diverse, ma non mancano segnali d’allarme: burnout studenteschi, crisi di ansia a scuola, diffusione precoce di dispositivi digitali e isolamento sociale. Serve una riflessione profonda su cosa significhi realmente “educare alla vita”.


Verso una pedagogia della fiducia: l’educazione come diritto e responsabilità condivisa


Nelle conclusioni del documento, l’ONU propone una definizione di educazione che ci è molto vicina:


“Proteggere il diritto all’istruzione significa più che assicurare accesso alle aule. Significa creare ambienti sicuri, inclusivi, solidali dove ogni bambino possa fiorire.” (par. 93)

Fiorire: è questo il verbo centrale. Un bambino non si istruisce, si coltiva. Non si prepara al futuro con competenze astratte, ma si accompagna nel presente con presenza, ascolto e significato.
L’educazione è — e deve tornare ad essere — 
relazione, esplorazione, possibilità.


Il compito di Libera Schola:
custodire e moltiplicare le forme della libertà educativa


Questo rapporto delle Nazioni Unite rafforza la nostra missione. Non siamo soli in questo lavoro: la libertà educativa ha fondamenta giuridiche, culturali e sociali profonde.
La nostra responsabilità è quella di renderle visibili e praticabili: creare spazi, tessere reti, costruire alleanze tra famiglie, educatori, professionisti e territori. Libera Schola continua a sostenere una visione dell’educazione come 
patrimonio vivo delle comunità umane.

Il bambino, ci ricorda il rapporto, non è una creatura dello Stato.
Ma è, e deve restare, 
un soggetto libero, guidato da adulti che hanno il diritto e il dovere di accompagnarlo con amore, visione e fiducia.

Autore: Erika Di Martino 2 novembre 2025
When the State Steps In: Understanding Educational Freedom and Responsibility in Italy
Autore: Erika Di Martino 2 novembre 2025
Una vicenda silenziosa, ambientata nei boschi dell’Abruzzo, è diventata in poche settimane oggetto di attenzione nazionale. Una coppia straniera vive con i propri tre figli vicino a Palmoli, in una abitazione isolata, priva dei servizi tradizionali, e si trova ora sotto indagine da parte della Procura dei Minori. Per molti è un caso di trascuratezza; per altri, al contrario, una scelta radicale e coerente. Per chi opera nel campo dell’istruzione parentale, rappresenta qualcosa di più profondo: un segnale che lo Stato è sempre più incline a varcare la soglia delle case per stabilire cosa sia “giusto” per i nostri figli. Ogni qualvolta una famiglia opta per un percorso fuori dagli schemi — meno consumista, più autosufficiente, più libero — la reazione sociale è spesso di sospetto. I titoli parlano di “bambini senza scuola”, “case senza elettricità”, “famiglie isolate”. Dietro queste parole si cela non tanto la realtà quanto la paura del diverso. Una famiglia che decide di vivere in modo indipendente, di educare in libertà o di ridurre la propria impronta sulla terra, non è più vista come esempio di coraggio, bensì come minaccia all’ordine costituito. E così, al posto del dialogo, si impone il controllo; al posto della comprensione, la diffidenza. L’istruzione parentale, riconosciuta dalla legge italiana, non equivale a abbandono, ma a responsabilità consapevole. Significa essere presenti ogni giorno nella crescita dei figli, costruire una “scuola diffusa” — in casa, nei parchi, nei viaggi, nelle relazioni. La maggior parte delle famiglie homeschooler non vive ai margini della società, ma ne è parte attiva, con reti educative solide e collaborative. Eppure, basta un caso estremo per gettare un’ombra su migliaia di genitori impegnati con dedizione e trasparenza. In questo cortocircuito si confondono autonomia educativa e rifiuto delle regole, e la libertà stessa viene accusata.  La Costituzione italiana attribuisce ai genitori la responsabilità primaria dell’educazione dei figli. Lo Stato ha un ruolo di garanzia, non di sostituzione. Tuttavia, negli ultimi anni abbiamo assistito a un’inversione di ruoli: famiglie costrette a giustificare scelte del tutto legittime, bambini allontanati “per prudenza”, tribunali che valutano stili di vita anziché reati. Quando in casi di separazione o divorzio uno dei genitori propone l’istruzione parentale e l’altro la scuola tradizionale, le sentenze quasi sempre pendono dalla parte dell’istituzione scolastica : non conta quanto bene possa dimostrare un genitore homeschooler il benessere dei figli, conta piuttosto la “sicurezza” dello status‑quo. È un segnale culturale, non solo giuridico: lo Stato si fida di più di se stesso che delle famiglie. Il messaggio che ne emerge è chiaro: puoi educare in libertà, ma solo fintanto che non metti in discussione l’ordine stabilito. Tuttavia, perché la libertà sia tale, deve poter esistere anche al di fuori della comodità del consenso. Esistono oggi, all’interno del sistema scolastico stesso, numerose situazioni di reale abbandono educativo che spesso sfuggono all’attenzione degli enti preposti. Minori lasciati soli per ore davanti a schermi, esposti precocemente a contenuti inappropriati, immersi in ambienti privi di relazione e cura autentica. Allo stesso tempo, vi sono famiglie che vivono in condizioni di precarietà abitativa, senza dimora fissa o in continuo spostamento, i cui figli, pur risultando formalmente iscritti a scuola, di fatto non frequentano e non ricevono alcuna continuità formativa. In questi casi, il bisogno di intervento da parte dei servizi sociali è concreto e urgente. È fondamentale che le risorse e le energie delle istituzioni si concentrino sulle situazioni dove effettivamente sussistono rischi educativi e di tutela, distinguendo con chiarezza le scelte pedagogiche responsabili — anche quando non convenzionali — da contesti di vera trascuratezza o disagio. È importante riflettere su una dinamica spesso sottovalutata: molte famiglie straniere — ma anche alcune italiane — che scelgono in Italia l’istruzione parentale, pur conoscendo perfettamente diritti e doveri, ignorano come funzioni il contesto culturale e istituzionale italiano. In altri Paesi, le procedure sono standardizzate e impersonali. In Italia, invece, molto dipende da come ci si presenta, da come si comunica, e da chi si ha di fronte. Conoscere la norma non rende immuni dalle pratiche: chi vive fuori dagli schemi deve agire con attenzione, misurare ogni passo, evitare esposizioni inutili. La trasparenza è valore, ma in certi contesti può trasformarsi in vulnerabilità. È un invito all’intelligenza situazionale: non basta avere ragione, serve saper operare nella realtà. Dietro i titoli sensazionalistici c’è una questione più profonda: una società che fatica ad accettare la libertà come valore reale. Siamo abituati a delegare tutto — la salute, l’educazione, le scelte morali — e chi decidesse di assumersi la responsabilità diventa “pericoloso”. Eppure, sono proprio queste famiglie — spesso etichettate come “irresponsabili” — a incarnare la forma più alta di responsabilità: educano, nutrono, costruiscono, vivono con coscienza. Non chiedono privilegi; chiedono rispetto. L’Italia non ha bisogno di più controllo. Ha bisogno di più fiducia, di più ascolto, di più alleanze tra istituzioni e famiglie. Le istituzioni devono imparare a collaborare con le famiglie, non a sospettare di loro. Le famiglie, a loro volta, devono conoscere i propri diritti e renderli visibili con rispetto e trasparenza. Libertà e sicurezza non sono antagoniste: sono due facce della stessa medaglia. La vera sfida è mantenerle in equilibrio. Alla fine, la questione non è dove vivano i bambini, ma chi ha il diritto di guidarli nella vita: i loro genitori o lo Stato?